Se qualche anno fa qualcuno mi avesse detto che non sarei stato in grado di mantenermi, gli avrei riso in faccia. Da quando ho finito la scuola ho sempre lavorato e mi sono sempre mantenuto da solo, tanto che del mio gruppo di amici sono stato il primo a comprare casa. Per tanti anni ho lavorato come operaio in una piccola azienda, che sfortunatamente un giorno ha chiuso. Vuoi la crisi, vuoi la fatica del post pandemia… non che non ci abbiano provato, i miei titolari, a tenere a galla la barca. Semplicemente non è stato possibile.
All’inizio me la sono cavata, come ho sempre fatto, accettando lavoretti qua e là. Ma la Trieste di oggi non è la Trieste di quando ero giovane e il mondo del lavoro è quello che è. La situazione è inevitabilmente peggiorata, le bollette si sono accumulate e, senza un’entrata stabile, è arrivato il momento in cui non sono più stato in grado di fare niente.
È stato Paolo, un mio caro amico d’infanzia, a parlarmi del refettorio della Caritas. È volontario da tanti anni e, sebbene all’inizio fossi molto riluttante e mi vergognassi tantissimo, alla fine è riuscito a convincermi che non c’era niente di male ad accettare un po’ di aiuto in un momento di difficoltà.
La mia prima volta al refettorio è stata un’esperienza strana. Mi sentivo a disagio, osservato, volevo tornare a casa mia. Invece ero circondato da persone sorridenti, Paolo in primis, avevo un pasto caldo davanti a me e dopo un po’ mi sono reso conto che a nessuno interessasse sapere perché fossi lì o perché non avessi soldi, alla mia età, per fare la spesa. A loro importava solo che stessi bene e di come fosse andata la mia giornata. Punto.
La sera dopo sono ritornato. E quella dopo pure, fino a quando con un po’ di fortuna non ho trovato un nuovo lavoro e non ho avuto più bisogno di questo piccolo aiuto extra. Ho deciso però di diventare volontario anche io e di donare qualche ora, durante la settimana, per restituire il bene che ho ricevuto in un momento buio. E per il quale sono immensamente grato.